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La discesa agli inferi precipitata col MeToo. E culminata con la morte di sua madre. Che è riuscita a perdonare per le botte che le ha dato da bambina. Solo ora sta trovando la forza di fare pace con se stessa e cambiare il suo destino. Senza alcol né droghe. Come racconta in esclusiva su Oggi
«Sono felice. Di essere sopravvissuta. Di aver spezzato la catena di dipendenze che ha rovinato la mia vita». Asia Argento ha festeggiato un anno senza alcol né droghe. Un traguardo figlio di altri, conquistati nell’ultimo anno e mezzo: «Avevo toccato il fondo, ma ne avevo bisogno, per ricominciare da zero». Lo zero, il punto di svolta, è stata la morte di sua mamma, Daria Nicolodi, nel novembre del 2020, che ha fatto mutare in rinascita un malessere che veniva da lontano e che Asia qui ricostruisce, partendo da un altro periodo buio della sua vita – foto | video 1 | video 2 | video 3
Come è iniziata questa rinascita? «Negli ultimi 5 anni, dal 2017, mi è capitato di tutto e tutto ho messo in piazza, anche solo per campare. Mi ero convinta di essere sfortunata, di avere il malocchio. Ho pure consultato una maga. E invece il minimo comune denominatore tra tutto quello che succedeva ero io. Ero io che non cambiavo, come poteva farlo il resto?».
2017, l’anno del MeToo, in cui accusò il produttore Harvey Weinstein di averla violentata, 21enne. «Molti problemi me li portavo dietro da tutta la vita. Ma da lì è partito lo tsunami che mi ha travolta, anche per i miei autosabotaggi. Quando ho raccontato a quel giornalista (Ronan Farrow, che Asia non nomina mai, ndr) la violenza di Weinstein non ero lucida. Era notte, mi sono fidata di lui e non avrei dovuto, per l’impostazione sensazionalistica che ha dato all’inchiesta. Ma soprattutto ho sbagliato io: quella denuncia andava fatta calibrando le parole e ricostruendo bene i fatti. Invece avevo bevuto, per farmi coraggio. Così nell’intervista dissi di aver avuto una relazione sessuale consensuale di 5 anni con Weinstein e non era vero. Quella frase è stata usata come un manganello contro di me, per screditarmi».
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Condivide la lettura per cui l’esito del processo Depp/Heard sia anche una sconfitta del MeToo? «Il MeToo è nato da un intento giusto, ma è nato morto. È stato sconfitto molto prima di questo processo. Dopo le denunce, l’occasione del dialogo è stata persa a vantaggio della caccia alle streghe. Tutto è diventato un prodotto hollywoodiano, con spillette sulle giacche delle attrici, discorsetti sul “mai più”. Infine, è stato usato per bastonare partner con cui semplicemente non si andava d’accordo».
Che cosa ne resta? «Un puritanesimo che condiziona persino i set e i film. Reazione tipicamente americana, senza elaborazione del problema. Per questo nel 2018, al Festival di Cannes, feci quel discorso da kamikaze».
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Disse che Weinstein non era più il benvenuto in quello che era stato il suo “terreno di caccia”. «Dopo un anno di MeToo lui continuava ad andare in giro, nonostante i “mai più” e le spillette».
Ma che cosa accadde dopo? «Una serie di eventi terribili culminati con l’ischemia di mia madre, la sua malattia, in pieno Covid, nel settembre 2020. Non potevo vederla. Un dolore straziante. Quando ha avuto l’ischemia, sono ricaduta in una depressione di cui avevo sofferto in altri momenti della mia vita. Non riuscivo ad alzarmi dal letto, uscivo di casa solo per portarle vestiti. Quando è andata via, ho iniziato a star peggio. Bevevo molto. Fin da piccola, ho riempito i vuoti con le dipendenze, è nella mia natura. Lì per lì, alcol e droghe spengono il rumore che hai in testa. Come tutte le malattie, le dipendenze sono progressive e mortali. Ho lasciato che distruggessero la mia vita. Quando avevo 28 anni ho preso coscienza del problema. Ma smettere è difficile».
Da un anno ci è riuscita. Come? «Avevo già smesso in passato, per due anni e mezzo, con gli Alcolisti Anonimi. Poi ho incontrato Anthony (Bourdain, lo chef morto suicida nel 2018, ndr). Beveva e per me è stato un alibi facile per ricominciare. Questa volta è stato diverso. Ho sentito di aver toccato il fondo. Allora ho accettato l’invito di Maria Amelia Monti, mia vicina di casa, a fare meditazione buddhista con lei. E ho ricominciato a sorridere. Ho studiato questa forma di buddhismo in cui ciascuno deve porsi obiettivi, elaborare un ordine da offrire alla propria vita. Poco dopo, ho incontrato un amico che mi ha portato con lui agli Alcolisti Anonimi. Ci si salva da soli, ma bisogna essere in grado di vedere le mani che ti vengono tese. Io le ho viste, e il desiderio di bere si è spento. Per tutta la vita mi sono sentita una bambina spaurita e mettevo il bicchiere tra me e gli altri, per proteggermi. Da un anno non ho più bisogno di quel filtro. Ho spezzato una catena che mia madre, alcolista anche lei, non era riuscita a spezzare. E mi sono accorta di non avere più paura. Ho elaborato il mio “protocollo della serenità”».
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Di che si tratta? «Una routine. Medito la mattina, per focalizzare le energie sugli obiettivi della giornata, e la sera, per ringraziare. Oggi mi dicono che sono solare. Io che per tutti ero la “maledetta”. Essere dipinta così mi permetteva di nascondere quanto fossi fragile. Ma ho sempre saputo che c’era questa luce in me, solo non sapevo come farla uscire. O non ero pronta».
Oggi a che punto è della sua lista di obiettivi? «L’ho riscritta, ora è più orientata alla felicità degli altri. Non ho più risentimenti, neanche per una carriera rovinata per non averla amata abbastanza. Il buddhismo insegna che si può ricominciare ogni giorno. E così è stato. Sono cambiata io e hanno iniziato ad arrivare cose belle anche nel lavoro. Mi hanno chiesto di leggere Alda Merini all’apertura della Biennale del Teatro a Venezia, il 24 giugno. E a settembre sarò su due set, una serie e un film, in cui non avrò ruoli maledetti ma che somigliano a questa nuova fase della mia vita».
Nel pieno di questo percorso ha scritto un libro, Anatomia di un cuore selvaggio, in cui ha raccontato le dipendenze ma anche le violenze di sua madre Daria Nicolodi. Perché? «Scriverne mi ha liberata. E mi ha aiutato a capire, per esempio, che l’alcol era il terreno di incontro con lei, eravamo compagne di bevute. E che dovevo liberarmi del risentimento per le violenze fisiche e psicologiche che mi aveva fatto quando ero bambina. Sul suo letto di morte le ho detto che la perdonavo, ma mi sono anche scusata per non essere stata la brava figlia che voleva. Fare ammenda è stato potentissimo. E doloroso, come tutte le trasformazioni».
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Ora è pronta anche per un nuovo amore? «Non ho problemi con gli uomini, ho tanti amici uomini. Ma non voglio relazioni. Non è tra gli obiettivi. Gli uomini sono insufficienti, sto bene da sola, solo l’idea di una relazione mi affatica. Ho i miei figli, sono completa. Ma non amano che parli di loro e li rispetto. Mi limito a dire che ora ci posso essere davvero, per loro. E questa è una delle cose che rientrano nelle gratitudini del mattino. Un’altra è essere viva».
Essere viva? «Molti amici con cui sono cresciuta sono morti per droghe, incidenti o malattie legati ad alcol o droghe. Avrei potuto fare la stessa fine. Sono felice di essere sopravvissuta, anche ai pensieri suicidari di quando bevi troppo, come è forse successo ad Anthony. Sono felice di essere qui, di aver capito di non essere debole. Ho sviluppato presto un istinto di sopravvivenza, nato quando mia madre mi picchiava, e ho capito che avrei dovuto proteggermi da sola, come un animaletto perso nella città, perché venivo cacciata e buttata in mezzo a una strada a 9 anni».
La morte di sua madre sembra aver innescato il cambiamento di cui lei aveva bisogno. «Mi spiace che lei, figlia di madre violenta e alcolista, non sia riuscita a trasformarsi. È morta triste, piena di risentimenti. Io ho avuto la possibilità e la capacità di perdonarla, di scusarmi e pacificarmi con lei».
Ha fatto tatuaggi in questo anno e mezzo? «No. A me sembra di “aver finito”. E anzi, penso anche di cancellare almeno quelli sulle mani».
Sulle dita ha “Hope”, speranza. Brutto cancellarla. «Tanto ora ce l’ho. E ora so che scriversi addosso presunti traguardi non porta bene. “Saved”, in salvo, sul polso, l’ho tatuato anni fa, credendomi salva. Ma, allora, non era vero».
Pare che la vera verità rimanga un optional e non si sa perchè visto che a questo punto non importa più a nessuno, tantomeno a me, ma ciò fa si che la si continui a percepire come non limpida. All’epoca – che ricordo bene – il suo ex disse che in quei (5) anni, dopo la loro separazione, Weistein infatuato di lei, le inviava fiori e provvedeva a pagarle la babysitter. La pace con se stessi non la si fa con le mezze verità, però questo riguarda lei, ma bastava non menzionare quel lasso di tempo e la ‘redenzione’ a noi sarebbe apparsa completa.
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