I ricordi di quando era ancora Giovanni Bortolini. Varmo commemora l’autore nel centenario della nascita
Domenica 11 settembre l’amministrazione comunale di Varmo commemorerà Elio Bartolini, di cui ricorre il centenario della nascita, nella sala consiliare del Municipio alle 17. Il giornalista Michele Meloni Tessitori condurrà la presentazione di alcuni temi inediti dello scrittore risalenti al 1932 commentati da Federica Ravizza e Franco Gover.
Elio Bartolini, in una sera d’inverno, scriveva accanto al fogolar, nella calda penombra della lampada e delle fiamme vicinissime che illuminavano fogli e libri sparsi sul ripiano della scrivania. Era un interno friulano senza tempo, il Friuli colto che riviveva in lui con peculiarità salienti: la calma quotidianità, l’amore per la vita etica e un certo distacco dalla vita estetica, un certo disinganno, forse, e un intenso trasporto per la casa: la sua villa di Santa Marizza che abitava con la moglie Gioconda.
Elio amava ogni centimetro del suo Palasat e questo amore lo estendeva al parco, alle piante, ne seguiva la crescita, attento. Sapeva dove avessero nidificato rondini o rapaci, parlava di un falchetto, mitico e mai individuato, sapeva bene dove fosse la suite da lui eternata in prosa e poesia.
Noi conoscevamo le sue abitudini osservando la scansione delle luci alle finestre, il chiudersi dei battenti, sentendo il rumore di un catenaccio, il gemito stremato della frizione della sua cinquecento gialla o il suo apostrofare i gatti e la cagnolina Giunta.
Ci domandavamo cosa stesse scrivendo: un romanzo, un saggio, una biografia, ricordi d’infanzia…
A Santa Marizza Bartolini aveva ritrovato una temperie paesana non dissimile da quella sperimentata nella sua lontana infanzia con la stessa empatia che già dimostrava nel lontano inverno del 32 nello svolgere un tema dal titolo vagamente deamicisiano: “Lettera ad un amico per pregarlo a concorrere ad un’opera di bene”.
È il 18 gennaio e Giovanni Bortolini, come allora si chiamava, se la cava bene con una stesura che è un capolavoro di diplomazia, che trabocca di buoni sentimenti e anche, sorprendentemente, di un certo ironico distacco.
Giovanni Elio parla di «fare un certo numero di lavorucci manuali per la pesca di beneficenza che si terrà a Pasqua per i bimbi poveri del comune» e invita l’amico Guido, con una smaccata captatio benevolentiae, a fare altrettanto: «Tu Guido, che sei più bravo di me, non farai qualche bella cosetta per quest’opera di bene?». È un ricattino morale che dovrebbe scuotere la coscienza di questo Guido. Nel tema vengono elencati i «lavorucci e lavorini che ci insegnò la signora maestra in questi due anni di scuola: qualche costruzione col cartoncino colorato, qualche piccolo lavoro in cuoio, un tagliacarte, un quadretto composto mediante il ritaglio, un cestino di truccioli, il mobilio per la cameretta della bambola».
Quanti diminutivi per questi materiali poveri, trucioli e cartone, quasi che lo stesso Elio Giovanni sembrasse non apprezzarne il valore estetico. Il tema poi vira sul patetico: «A Codroipo tanti nostri compagni patiscono tante privazioni; essi ci benediranno di certo! Io vorrei essere ricco per poter dare a piene mani a chi ha bisogno! Mandami una pronta risposta e riceverai un grazie anticipato e un bacio di cuore. Tuo affezionatissimo amico Giovanni».
Chiusura formale vagamente imperiosa. Il bambino che voleva “essere ricco” e saluta “di cuore” sarebbe poi diventato un grande scrittore e avrebbe condensato il suo rapporto con gli abitanti di Santa Marizza in un verso semplicissimo dove, dopo tanti anni, ritorna quella parola: cuore. “Int di cour chiste di Sante Marizze” e di rimando, nel cuore di chi lo ha conosciuto bene, ad abitare la villa sarà sempre lui: Elio!
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