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A una presentazione di non ricordo più quale modello, una sera di qualche anno fa, Herbert Diess mi confidò: "Il diesel resta il modo oggi più efficiente per spostarsi sulle lunghe distanze”. Suona un po’ strano, certo, detto da uno che negli ultimi tempi ha associato la sua immagine al passaggio epocale verso la propulsione elettrica. Ora che il manager, in apparenza all’apice del suo successo personale, ha lasciato la carica di ceo del gruppo Volkswagen (a proposito di carriera, qui sopra potete scorrere la foto gallery con tutti i modelli nati durante il suo turno di guardia), analizzare che cosa sia accaduto è meno semplice che ricomporre il conflitto tra il Diess estimatore del diesel e il Diess campione della transizione ecologica. E lo è perché ci porta ad entrare in uno dei periodi più controversi e complessi della storia dell’automobile, del quale l’ex Mister Wolfsburg è stato tra i principali protagonisti. La sua caduta sembra uno dei tanti nodi che vengono al pettine in un processo di trasformazione che è tutto fuorché lineare e privo di contraddizioni.
Un po’ di storia: dal gasolio agli elettroni. Il grande capo dell’agglomerato automobilistico più potente al mondo è sempre stato un uomo pragmatico. È diventato il leader del movimento pro elettrico, sul lato dell’industria, non per ideologia ma per opportunismo strategico (dove opportunismo va letto in modo neutro, senza alcuna connotazione di stampo morale). Il manager proveniva dalla BMW, che di motori endotermici se ne intende. Quel tipo di motori lui sarebbe andato avanti a farli a lungo, anche a Wolfsburg. Ma in brevissimo tempo il dieselgate da una parte e la consapevolezza diffusa dell’urgenza di intervenire contro il cambiamento climatico che si stava propagando tra l’opinione pubblica dall’altra, hanno fatto cambiare il vento. E Diess ha sempre saputo annusare l’aria. Ha visto uno spazio, da occupare prima che lo facessero altri. E ha capito che per il gruppo Volkswagen sarebbe stato il modo ideale di rifarsi una verginità dopo lo scandalo dei defeat device applicati ai powertrain a gasolio per ingannare la legislazione anti-inquinamento, ripartendo dal foglio bianco e guadagnando al contempo un vantaggio competitivo sulla concorrenza.
All’apice del successo? Chissà se aveva fiutato l’aria anche questa volta, alla vigilia del suo accantonamento. A uno sguardo distratto, la posizione del manager d’origine austriaca poteva sembrare salda. In fondo era passato indenne attraverso altre situazioni di tensione con il board e di aperta conflittualità con i sindacati (celebri, ormai, sono gli scontri - pubblici - con Daniela Cavallo, il potente presidente del consiglio di fabbrica del gruppo). Diess aveva portato a casa un accordo ad ampio spettro con la Ford, che, accanto a una proficua cooperazione sui veicoli commerciali, apre nuovi sbocchi produttivi per l’architettura elettrica Meb, che andrà a supportare due futuri veicoli elettrici dell’Ovale blu. Infine, aveva contribuito a disegnare i contorni del Fit for 55, la road map dell’Unione europea sulla decarbonizzazione, che ha tra i suoi corollari la messa al bando dei motori termici. Il suo capolavoro politico: il bando, infatti, dovrebbe costringere il mercato a quella scelta che i consumatori non paiono spontaneamente pronti a fare, e quindi tradursi in un favore a chi, come il gruppo Volkswagen, sulle zero emissioni ha puntato tutto. Quindi, che cosa è successo? Perché Diess è finito disarcionato? Cerchiamo di capirlo.
Segnali di malessere. Un indizio: il 20 luglio Oliver Blume, successore designato a Diess alla guida del gruppo, ha confermato ufficialmente, in veste di ceo Porsche (carica che manterrà) una voce che già circolava e cioè che la Macan elettrica sarà posticipata al 2024. Anche un altro modello, stavolta con il marchio Audi, originariamente previsto entro il 2025, slitterà più avanti: si tratta del veicolo che dovrebbe inaugurare la nuova piattaforma informatica del gruppo, il cosiddetto progetto Artemis. Ma è evidente che l'architettura non è pronta (ci torneremo tra poco) e ciò è un segnale che forse non tutto va a gonfie vele nella materializzazione delle “magnifiche sorti progressive” dell’era a elettroni. Tanto che il board aveva intimato a Diess di risolvere i problemi presenti nella divisione software Cariad, dandogli tre settimane. L’idea che si percepisce dall’esterno è che ne servano molte di più.
I numeri raccontano. Un secondo campanello d’allarme proviene dal mercato. Il Gruppo, in un nota del 15 luglio, sette giorni prima del siluramento di Diess, ha sottolineato il positivo incremento di consegne di vetture elettriche nel primo semestre: il 27% in più dello stesso periodo dell’anno scorso. Ma come sempre i macro-dati riservano qualche sorpresa quando vai a guardarci dentro: allora scopri che per quel 27 per cento in più Wolfsburg deve ringraziare i vari Mr. Wu e Mr. Yang, più che gli Schmidt e i Rossi. La Cina è responsabile per un più 247,1% sul 2021, mentre l’Europa ha un elettrocardiogramma piatto: 128.800 vetture a zero emissioni consegnate nella prima metà di quest’anno, 128.100 nell’analoga finestra temporale un anno fa: uguale +0,6%. Se poi prendiamo in esame il secondo trimestre, scopriamo che sul mercato continentale le vendite sono addirittura diminuite: – 16,5%. Va tutto bene? Non proprio.
Il caso ID.3. Al centro di questa performance con luci e ombre, c’è la Volkswagen ID.3, il modello primogenito della nuova stirpe elettrica, al quale la stessa Casa tedesca ha – forse incautamente – attribuito lo stesso messianico ruolo di evangelizzazione degli automobilisti di domani che, in differenti epoche storiche, era già appartenuto al Maggiolino prima e alla Golf poi. Ma qui siamo su una scala del tutto diversa, e a poco vale la giustificazione che i tempi sono cambiati, i volumi di vendita dei singoli modelli si sono ridotti e la motorizzazione a corrente deve ancora pienamente decollare: la ID.3 nel primo semestre dell’anno ha venduto 26 mila unità, vale a dire meno della metà della Suv, sempre elettrica, ID.4 (inclusa la variante coupeggiante ID.5), che è più costosa. E soltanto 1.300 unità in più dell’Audi e-tron (inclusa la Sportback), un modello i cui listini partono da 86 mila euro, cioè più del doppio di una ID.3. Quando il modello simbolo della rivoluzione che hai intrapreso resta indietro, hai un problema. E ora Blume dovrà cercare di risolverlo. Ma non è l’unico.
La Golf, vittima collaterale. Sul piano dei risultati commerciali, i problemi per Diess sono arrivati anche su un altro fronte, quello a combustione. Mentre la ID.3 stenta a decollare, la Golf che, nel frattempo deve difendere quel segmento C che è il più competitivo in Europa, non sta andando benissimo. La generazione VIII piace meno della VII. Colpa di un design meno riuscito, ma soprattutto colpa di una serie di compromessi figli anch’essi della strategia “all in sull’elettrico” di cui Herbert Diess in qualche modo è stato chiamato a rispondere. La Golf VIII era in progettazione quando scoppiò il dieselgate e il grosso degli investimenti venne dirottato alla ricerca sull’elettrificazione. Per l’erede del modello più rappresentativo del marchio si decise allora di riutilizzare il pianale esistente e si dovettero apportare anche modifiche al design.
Il nodo del software. Per finire, torniamo all’inizio, al software. Sono anni che Wolfsburg cerca di far quadrare questo rompicapo: prima lo affida a un manager in seno al marchio Volkswagen, poi, davanti all’insuccesso, lo silura e assegna lo sviluppo all’Audi, che dovrà realizzare Artemis. Dura poco: anche il marchio dei quattro anelli è costretto a tirare i remi in barca. Nasce una nuova divisione all’interno del gruppo, chiamata Cariad, con un suo amministratore delegato, e una tendenza idrovora verso gli investimenti: sei i miliardi finora stanziati per la ricerca. Che stenta a produrre i risultati sperati nei tempi sperati. Una questione, quella dei sistemi operativi, che è fonte di mal di testa per molti costruttori, un po’ stretti tra il desiderio di sviluppare sistemi proprietari e la necessità, a volte inderogabile, di appoggiarsi a software house esterne e riconosciute. A ricordarci che la trasformazione dell’automobile da oggetto meccanico a computer su ruote è tutt’altro che facile e compiuta.
Con Blume cambierà l’approccio. Ora la domanda è: che cosa cambierà con l’avvicendamento al vertice? La scelta dell’elettrico pare irreversibile, sancita come ormai è a livello di Unione europea. Però Blume si è già espresso a favore degli e-fuel e di un approccio olistico alla questione della decarbonizzazione. Anzi, questa cosa gli ha già procurato il primo imbarazzo nella sua carriera di ceo, avendo candidamente ammesso di aver influenzato esponenti dei partiti della coalizione per ottenere la sponsorizzazione del governo tedesco al tema dei carburanti sintetici. Del resto, altrettanto candidamente Herbert Diess aveva dichiarato di avere aiutato la Commissione alla stesura del draconiano Fit for 55. Senza che si levasse alcuna voce scandalizzata. Perciò, filtrando il rumore di fondo, varrebbe la pena prestare molta attenzione alle parole e alle mosse del nuovo Mister Wolfsburg. Perché da qui al 2035 ci aspettano anni interessanti.
Negli ultimi anni c'e stato un significativo aumento della "quota rosa" al volante e le automobiliste sono diventate sempre più consapevoli delle scelte da fare in ambito di veicoli
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