La maggioranza dei risparmiatori supera il sentimento d’incertezza per il futuro scegliendo investimenti etici. I dati dell’ultimo rapporto Censis-Assogestioni.
Conoscenza, fiducia, investimenti. Sono i tre pilastri dello sviluppo economico e sociale di un paese e, al contempo, i punti guida del benessere personale. La giusta mole di informazioni e consapevolezza è indispensabile alla creazione di un saldo rapporto di stima che porta a investire i propri risparmi, più o meno faticosamente accantonati, e a stimolare a crescita di un’industria sempre più orientata agli obiettivi etici di lungo termine, che coniugano performance finanziarie e sostenibilità.
All’indomani – o sarebbe meglio dire nel bel mezzo – del biennio pandemico, il contante ha svolto una funzione di rassicurazione psicologica e rappresentato la soluzione più adatta a tutelare e salvaguardare i risparmi, oltre che subito disponibile in caso di bisogno. Per uscire da quella che si potrebbe definire una “comfort zone”, nell’incertezza del nostro tempo i risparmiatori sentono sempre più il bisogno di alternative praticabili e attrattive, che saltino l’ostacolo del basso rendimento e plachino la diffusa sensazione di incertezza per il futuro. Ed è qui che si ritagliano sempre più spazio gli investimenti etici, basati su criteri Esg.
Sono alcuni dei dati contenuti nel terzo rapporto Censis–Assogestioni “Investire di più, investire nell’economia reale”, condotto dal 29 marzo al 5 aprile su un campione rappresentativo della popolazione italiana di 1.000 cittadini maggiorenni. È stato presentato alla plenaria di chiusura dell’ultimo Salone del risparmio di Milano, che indaga la propensione a risparmiare e investire delle famiglie italiane nel post-pandemia.
La fotografia, che cattura anche i fattori umani ed emotivi, rivela che la maggior parte degli investitori, precisamente il 78,2 per cento, pretende la certezza che i propri risparmi vadano a investimenti etici, cioè che finanziano soggetti, pratiche, azioni rispettosi dei diritti e della dignità umana.
Emerge anche che il 54,4 per cento dei risparmiatori vuole investire in piccole e medie imprese italiane, a sostegno dell’economia reale e dei suoi protagonisti. Se da un lato aumenta l’appeal degli investimenti etici, dall’altro diminuisce quello di immobili e titoli di Stato: nel primo caso la quota dei risparmiatori che non li acquisterebbe si ferma al 55,5 per cento, nel secondo sale al 71,7 per cento.
“Le variabili ambientali, sociali e di governance non possono più essere considerate semplicemente extra-finanziarie, ma sono parte integrante del dovere fiduciario che il settore del risparmio gestito ha nei confronti di tutte le tipologie di investitori, istituzionali, professionali e soprattutto dei risparmiatori”, ha dichiarato durante il discorso di chiusura dei lavori il presidente di Assogestioni, Carlo Trabattoni.
Difatti, il 61,3 per cento dei consulenti intervistati dichiara che i risparmiatori puntano a investimenti in settori specifici: la sanità e l’high tech – e non potrebbe essere altrimenti – e per ben il 37,3 per cento gli Esg. Di conseguenza, la richiesta di competenze e conoscenze nell’analisi dei bisogni dei clienti per tocca l’85,3 per cento la sostenibilità e i criteri Esg. Numeri che riflettono il bisogno, espresso dalla maggior parte della clientela, di un ascolto personalizzato fatto di rassicurazioni, attenzione alle esigenze personali, spiegazioni e argomentazioni per comprendere al meglio le proposte finanziarie. In conseguenza al ritorno dell’inflazione e per riuscire a restare saldi di fronte alle fasi di volatilità di mercato, come quella attuale inasprita dalle tensioni geopolitiche.
“Il rapporto individua quattro gruppi di risparmiatori – gli impauriti, i cauti, gli investitori moderati e quelli (un po’) più audaci – e il loro rapporto con i consulenti, da cui emergono aspetti interessanti: il livello di fiducia verso i consulenti è alto, gli italiani cercano rassicurazione e chiedono competenza e comprensione delle proprie specifiche esigenze”, aggiunge Giorgio De Rita, segretario generale del Censis.
L’ottimismo verso il futuro sostenibile e l’industria responsabile, attenta a ridurre il proprio impatto sull’ambiente, alimenta il sentimento di fiducia dei risparmiatori: la voglia di investire in realtà etiche riguarda tutte le generazioni, dai 18-34enni agli over 65.
Stupisce però vedere che la meno interessata agli investimenti Esg è il gruppo, seppur minoritario, dei risparmiatori (un po’) più audaci. Si tratta prevalentemente di maschi, con elevato titolo di studio, attività di impresa commerciale o professionale o che ricoprono ruoli apicali nel lavoro dipendente pubblico o privato. Abituati a investire nell’azionario e nell’obbligazionario, sono coloro che dispongono di patrimoni robusti e si dicono pronti a investire nelle imprese italiane e nell’economia reale. Eppure, restano scettici verso gli Esg. Forse non hanno ancora capito che sostenibilità e business sono due facce della stessa medaglia e che la vera audacia è lodevole quando tutela il benessere collettivo, delle persone come delle piante e degli animali, tutti ospiti dello stesso pianeta.
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