Si chiama Green Cube ed è il primo esperimento di orto spaziale lanciato in orbita con il volo inaugurale del nuovo vettore Vega-C dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) dalla base di Kourou, in Guyana francese, insieme al satellite scientifico “Lares 2” e ad altri cinque nano-satelliti. Il micro-orto che misura 30 x 10 x 10 centimetri è stato progettato da un team scientifico tutto italiano composto da ENEA, Università Federico II di Napoli e Sapienza Università di Roma, nel ruolo di coordinatore e titolare di un accordo con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).
Basato su coltura idroponica (una speciale coltivazione delle piante fuori suolo, senza terra, grazie all’acqua, nella quale vengono rilasciate specifiche sostanze nutritive) a ciclo chiuso e dotato di sistemi di illuminazione specifica, controllo di temperatura e umidità per rispondere ai requisiti restrittivi degli ambienti spaziali, “è in grado di garantire un ciclo completo di crescita di microverdure selezionate fra le più adatte a sopportare condizioni estreme”, - in questo caso crescione - ad elevata produttività, per 20 giorni di sperimentazione, sottolinea Luca Nardi del Laboratorio biotecnologie di Enea .
Il micro orto inoltre è dotato di un sistema integrato di sensori hi-tech per il monitoraggio e controllo da remoto dei parametri ambientali, della crescita e dello stato di salute delle piante e trasmetterà a terra, in totale autonomia, tutti i dati acquisiti. Il satellite si compone di due unità: la prima contiene le microverdure, il sistema di coltivazione e controllo ambientale, la soluzione nutritiva, l’atmosfera necessaria e i sensori; la seconda unità ospita la piattaforma di gestione e controllo del veicolo spaziale.
“La ricerca spaziale si sta concentrando sullo sviluppo di sistemi biorigenerativi per il supporto alla vita nello spazio; le piante hanno un ruolo chiave come fonte di cibo fresco per integrare le razioni alimentari preconfezionate e garantire un apporto nutrizionale equilibrato, fondamentale per la sopravvivenza umana in condizioni ambientali difficili”, sottolinea Nardi.
“I piccoli impianti di coltivazione in assenza di suolo- prosegue il ricercatore- possono svolgere un ruolo chiave per soddisfare le esigenze alimentari dell’equipaggio, minimizzare i tempi operativi ed evitare contaminazioni, grazie al controllo automatizzato delle condizioni ambientali. Per questo dopo il successo del lancio del razzo e del rilascio in orbita del suo carico, stiamo aspettando con ansia le temperature ottimali interne per dare il via libera alla sperimentazione”.
Questo sistema è il primo esperimento in assoluto di coltivazione di piante oltre l’orbita bassa terrestre in condizioni di microgravità. I risultati di questo progetto permetteranno di fare un passo avanti nel percorso che ci conduce verso la produzione di ortaggi a supporto delle future missioni di esplorazione umana spaziale oltre l’orbita bassa, in cui avremo bisogno di coltivare in situ alimenti freschi ed altamente nutrienti per l’alimentazione ed il benessere degli astronauti.
Infine, sottolinea Nardi, “da non sottovalutare è anche il beneficio psicologico per l’equipaggio, derivante dalla coltivazione e dal consumo di verdura fresca che richiamano la familiarità di abitudini e ambienti terrestri per far fronte allo stress psicologico cui gli astronauti sono soggetti, dovuto alle condizioni di isolamento in un ambiente totalmente artificiale”.
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