Le radiazioni UV sulle piante - DolceVita

2022-07-22 17:40:55 By : Ms. Betty Li

La stimolazione delle piante con luce artificiale è cosa nota in campo scientifico e industriale da molto tempo, ma c’è qualcosa che è rimasta a lungo inesplorata e solo recentemente ha visto un incremento di studi scientifici interessanti: gli effetti delle radiazioni ultraviolette sulle piante. 

Tanto per fare chiarezza si tratta di quelle radiazioni emesse dal sole, non visibili e ricche di energia. Sono divise in tre gruppi: UV-A, UV-B e UV-C. Le prime hanno effetto germicida e sono molto dannose sia per l’uomo che per le piante, e per fortuna non attraversano l’atmosfera. Le altre due invece arrivano da noi e sono responsabili della nostra abbronzatura. 

Ma le piante cosa se ne fanno di questi UV-A e UV-B che in una giornata estiva raggiungono un’intensità di circa 200mW all’aperto? Mentre la luce dello spettro PAR (400-700nm) viene utilizzata per la fotosintesi, la radiazione UV contenuta nella luce solare può potenzialmente danneggiare sia le cellule sia il materiale genetico della pianta. Negli esseri umani si parla di scottature solari e in questo caso il corpo umano produce sia melanina che vitamina D.

Alcune piante come muschi, felci o licheni che crescono a terra ombreggiati da una fitta chioma di foglie, o piante come quelle in montagna invece, comprese quelle varietà di cannabis provenienti dagli altopiani (per esempio Hindu Kush) sono obbligate a proteggersi dai potenziali danni cellulari e al DNA. La pianta “riconosce” i raggi UV grazie ad un fotorecettore chiamato UVR8 presente in tutte le sue parti. Quando la radiazione UV-B ha un’intensità di circa 50-100 mW il fotorecettore UVR8 si attiva e mette la pianta in uno stato di stress che provoca l’avvio delle strategie di protezione. Ad esempio, la produzione di carotenoidi, flavonoidi, terpeni, la formazione di tricomi, un’intensificazione della produzione di resina, la formazione di composti antiossidanti, le antocianine , che aiutano a disattivare le molecole nocive all’interno della cellula. Poiché il recettore UVR8, attivato da UV-B, è responsabile della produzione di aromi e principi attivi, la sola irradiazione con UV-A non potrà offrire gli stessi risultati limitandosi ai benefici che la comune luce blu è in grado di portare: una crescita più compatta e un buon radicamento. A pensarci bene la stessa luce solare che raggiunge la superficie terrestre diffonde naturalmente sulla vegetazione in campo aperto sia UV-A che UV-B. Nelle serre invece, i materiali di copertura tagliano quasi del tutto la componente UV-B. Riassumendo per ottenere il meglio dall’esposizione integrativa ai raggi UV è fondamentale la corretta intensità e durata dell’esposizione, nonché la presenza simultanea di UV-A e UV-B.

Come posso generare artificialmente luce UV? Le lampade fluorescenti sono uniche poiché sono in grado di generare insieme sia UV-A che UV-B a varie intensità e nel formato T5 (il tubo da 16mm di diametro) hanno una durata media di circa 15mila ore. Un esempio sono le lampade dedicate all’abbronzatura. In quel caso l’intensità della radiazione è talmente elevata che il rischio di danneggiare le piante è quasi una certezza. Ci sono dei modelli invece con intensità calibrata per consentirne l’impiego sulle piante, ad esempio STICKY BOOST 24W di Indoorline.

Non è difficile trovare sul mercato apparecchi con chip LED UV. Chi ha dimestichezza con gli spettri non avrà difficoltà a scoprire che la maggior parte di questi apparecchi emette quasi esclusivamente UV-A mentre sappiamo che è la presenza contemporanea di UV-A e UV-B che causa effetti dimostrabili nella pianta. Se aggiungiamo il fatto che i chip LED UV-B sono molto costosi e non efficienti risulta evidente che, ad oggi, la tecnologia LED non è matura. Un LED che emette radiazioni intorno ai 310 nm è in grado di converte solo circa l’1-1,5% della potenza in radiazione UV-B e hanno una durata media tra 4mila e 6mila ore, ben inferiore alle 50mila ore dei LED normali. 

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