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Nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1934 muore, all’ospedale Ténon di Parigi, un ucraino che è stato ricoverato quattro mesi prima debilitato e affetto da tubercolosi, più uno spettro che un uomo di quarantacinque anni. Ha il volto sfregiato e troppe cicatrici sul corpo per essere un tranquillo seppur misero cittadino. Infatti non lo è. È Nestor Makhno. Il più famoso, temuto, amato e odiato anarchico del tempo. L’uomo che si è opposto ai reazionari e ai bolscevichi e che non solo ha sognato, ma realizzato, anche se per poco tempo, una vera società di liberi e uguali. Un vero “Territorio Libero”.
Quando muore, Makhno è poverissimo. In fuga da anni dopo che, il 26 novembre 1920, ha combattuto con duemila uomini contro l’Armata Rossa che aveva accerchiato e attaccato il cuore della regione – migliaia di chilometri quadrati - in cui ha organizzato i suoi Soviet libertari, si è rifugiato prima in Romania, dove l’hanno accusato di terrorismo, poi in Polonia, dove è stato processato come criminale antipolacco, quindi a Danzica, dove è stato arrestato. È arrivato a Parigi dopo essere evaso e aver attraversato la Germania. Qui l’ha raggiunto un ordine di espulsione mai eseguito grazie all’intervento del pacifista Louis Lecoin, colui che molti anni dopo rinuncerà alla candidatura al Nobel per la pace in favore di Martin Luther King.
«Noi, cinque fratelli orfani … siamo stati lasciati nelle mani della nostra povera madre, che non aveva niente. Ricordo vagamente la mia prima infanzia … rovinata dall’orribile stato di necessità e dalla povertà che la nostra famiglia doveva sopportare, finché noi bambini non sono cresciuti abbastanza da guadagnarci da vivere». Così, nell’autobiografia rimasta incompiuta.
Nestor ha dodici anni quando lascia la scuola e comincia a lavorare la terra alle dipendenze dei nobili e dei ricchi coloni, ne ha tredici quando si ribella per la prima volta e non per un’ingiustizia patita personalmente, ma per un sopruso contro un compagno. Eserciterà poi tanti altri mestieri, tra cui quello di operaio in una fonderia.
Studia, pensa, parla, diventa un attivista libertario già a sedici anni. Provano a inchiodarlo attribuendogli un omicidio, dovranno rilasciarlo per assoluta mancanza di prove. Lo arrestano ancora e stanno per impiccarlo, ma la condanna viene commutata in lavori forzati a vita. Le condizioni carcerarie durissime lo spingono, per rabbia, a studiare ancora di più e a mettere a punto lo schema dei Soviet libertari, le comuni contadine che diventeranno realtà quando riuscirà a ottenere la liberazione.
L’idea è di rinunciare allo Stato, ai capi, ai ruoli di potere. Non ce n’è bisogno, pensa Makhno. La linea generale viene decisa dal Congresso annuale, la gestione dei Soviet è degli stessi lavoratori, tempi e modi di produzione sono su base volontaria come d’altra parte la partecipazione all’esercito (il famoso “Esercito Nero”), non esiste un partito-guida o altre autorità, le comunità si coordinano tra loro su base federalista. Sorpresa (ma non per Makhno): funziona tutto benissimo.
Di estrazione contadina in una regione in larga parte contadina, Makhno conosce i problemi, la mentalità e le necessità di chi lavora la terra. Guida gli espropri ai latifondisti, distribuisce le terre secondo il principio “a ciascuno l’area che può coltivare”. Si preoccupa dell’istruzione. Per i bolscevichi e i loro modelli piramidali non c’è posto. Le comunità ucraine di Makhno proprio non ne hanno bisogno.
Ci sono situazioni in cui Makhno, però, con i bolscevichi è costretto ad allearsi. Accade dopo la pace di Brest-Litovsk, con cui tra l’altro Lenin cede l’Ucraina alla Germania e quindi le truppe tedesche invadono il Paese, accade per contrastare la armate dei russi bianchi filozariste, e ancora quando la borghesia ucraina, guidata da Denikin, tenta un colpo di mano. Ma bolscevichi e makhnovisti non sono amici, non possono esserlo. Trotskij pensa e dice che l’Ucraina in fondo starebbe meglio sotto i russi bianchi che sotto la gestione Makhno, e sull’anarchico, infatti, i bolscevichi metteranno una taglia.
Continua così ancora per un po’. Alleanze strategiche e offensive dei bolscevichi. Prove di avvicinamento e scontri. Fino a quell’accerchiamento, nel 1920, in seguito al quale, e dopo aver combattuto rimanendo gravemente ferito, Makhno deve fuggire dal suo Territorio Libero, dove non tornerà mai più.
«Un nuovo ordine sociale in cui non ci saranno né schiavitù né menzogne, né vergogne né pregevoli divinità, né catene. In cui non si potranno comprare né l’amore né lo spazio. In cui non ci saranno che la verità e la sincerità degli uomini».
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