Storia di To-Tie, la nuova lampada Guglielmo Poletti per Flos | Elle Decor

2022-07-08 18:28:53 By : Ms. May Xie

Il designer ci racconta la genesi della lampada To-Tie realizzata per Flos, ma anche di come si è conquistato un (meritatissimo) spazio tra i big

In mezzo alle tante sorprese che ci ha riservato See the Stars Again, il concept event di Flos organizzato all’interno del circuito del FuoriSalone 2022 per celebrare i primi 60 anni di vita del brand, si è inserita anche la partecipazione di Guglielmo Poletti, designer classe 1987 che si è conquistato un meritato spazio in mezzo ai big in mostra con un nuovo e sofisticato progetto della luce in grado di affascinare il pubblico e addetti ai lavori (foto Cover).

Durante l’evento abbiamo incontrato Guglielmo Poletti e ne abbiamo approfittato per parlare direttamente con lui delle sue esperienze come designer e della lampada To-Tie realizzata per Flos.

Sicuramente la presenza della tua lampada To-Tie tra le novità di Flos è un traguardo molto significativo per la tua carriera, ci puoi raccontare quali sono le esperienze formative che ti hanno indirizzato verso il mondo del lighting design?

Intanto devo precisare che il mio interesse per l’ambito dell’illuminazione, e quindi il mio approdo in Flos, non viene esattamente da una mia priorità ma anzi è stata una conseguenza. Penso però che la mia esperienza progettuale in altri campi si sia rivelata particolarmente congegnale a questo specifico settore, che mi sta piacendo molto e penso continuerà ad appassionarmi. Parlando più in generale del mio percorso di formazione, ritengo che sia stato decisivo il mio ciclo di studi in Olanda. In particolare considero un vero e proprio salto di qualità il Master che ho conseguito presso la Design Academy di Eindhoven, che è stato per me una tappa fondamentale. Il livello di costruzione delle modalità progettuali che ho messo a punto nei due anni che ho trascorso là credo rimarrà il fondamento del mio modo di fare design, grazie soprattutto alla possibilità di dedicarsi a una sperimentazione completamente libera e svincolata dai criteri della produzione, sia che riguardi un oggetto che un arredo. Questa libertà creativa a tutti i livelli si è rivelato un patrimonio fondamentale per i successivi esiti del mio lavoro. Ne è una prova il progetto che ho prodotto a conclusione del master, la collezione Equilibrium, già completamente centrata sullo studio della tensione strutturale dei materiali e sulle loro proprietà costruttive, tema specifico della mia ricerca. Equilibrium è poi diventata una edizione limitata, editata da Rossana Orlandi.

Ci puoi parlare del tuo incontro con lei, spiegandoci come si è evoluta la tua carriera da quel momento?

L’incontro con Rossana Orlandi è stato il ponte tra il mondo accademico da cui provenivo e il vero e proprio impegno come designer che si confronta con il prodotto. Grandissima conoscitrice e promotrice del design olandese, ha contribuito in molti casi a sostenere il lavoro di giovani creativi che in seguito hanno avuto brillanti percorsi. Grazie a lei, che mi ha preso sotto la sua ala protettrice, ho potuto continuare il mio percorso espressivo nella più ampia libertà, focalizzandomi su temi e interessi che davvero mi stimolavano. È stato importante al mio esordio avere al fianco una persona piena di energia e molto esigente come Rossana, che mi ha incoraggiato e supportato anche a livello di produzione, spingendomi a realizzare concretamente i miei primi progetti. Il mio modo di lavorare si basa sulla riflessione e rielaborazione continua, ne è una prova la lampada To-Tie che è stata messa a punto in un anno e mezzo di studio, procedendo attraverso una serie di progressive limature. In questo aspetto ho trovato una totale identità con Flos, per me rappresenta una delle parti più genuine e divertenti di questa collaborazione. Tornando al mio rapporto con Rossana, è ancora grazie a lei che ho potuto partecipare al Salone Satellite del 2014, e in seguito alla manifestazione PAD London Art + Design di Londra come esponente della Galleria Rossana Orlandi nel 2017 e nel 2018. Fare parte del suo entourage ti colloca sicuramente in un ruolo privilegiato ed è anche una palestra impegnativa che aiuta, specialmente quando sei giovane, a orientarti nel mondo del design. Esponendo nella Galleria mi sono messo in luce e sono stato nominato ‘Young Talent of the Year’ da Elle Decor Italia nel 2019 e, come avviene nel gioco del domino, si sono messe in moto altre cose, in particolare si è venuto a creare il link con Desalto, altro importante step della mia carriera.

Quella con Desalto è stata la tua prima prova nel mondo del design di prodotto, cosa ci puoi raccontare in proposito?

Nel 2018 presentavo nella Galleria Rossana Orlandi alcuni pezzi realizzati in alluminio che si basavano, come il precedente lavoro Equilibrium, su ragionamenti sulla tensione strutturale. Gordon Guillaumier, che a quel tempo era direttore artistico di Desalto, li ha notati e mi ha invitato a realizzare per loro una capsule collection. Doveva essere una piccola serie di arredi da produrre in edizione limitata, un’operazione promozionale descritta da Gordon come quella che Ron Arad aveva condotto per la sartoria del metallo Marzorati Ronchetti, una sorta di collezione promozionale “show off “ che mettesse in luce le capacità tecniche e produttive di Desalto nella lavorazione del metallo, materiale in grado di raggiungere forme statiche di raffinato equilibrio. Non avevo un brief e quindi ho potuto affrontato questa sfida senza pormi vincoli e nella massima libertà, condizione che per me è ideale, mantenendo salda la mia idea di coerenza: per me è essenziale arrivare a fine lavoro con un risultato che sia coerente con i miei canoni. Quando Desalto ha visto i pezzi ha deciso che dovessero entrare a tutti gli effetti nel loro catalogo prodotti perché avevano il carattere della sperimentazione ma allo stesso tempo i criteri dell’industria. In quel momento avevo bisogno di quel tipo di conferme e quindi sono stato davvero soddisfatto per un esito così rilevante: dopo due anni e mezzo di pezzi unici e edizioni limitate, capire che potevo operare concretamente nel campo dell’industrial design con le mie modalità espressive e con il mio linguaggio è stato estremamente appagante. La collaborazione con Desalto, che ha portato alla definizione di diverse collezioni tra il 2019 e il 2020, è stato il mio primo match con l’industria, e ha rappresentato la chiave di volta per il successivo passaggio, il mio lavoro con Flos.

Entriamo quindi nell’attualità del tuo debutto con Flos. Raccontaci come è nato questo incontro che ti conduce alla realizzazione di To-Tie.

Nell’aprile del 2020, periodo buio in cui tutto sembrava essersi fermato a causa del lock-down, è arrivata una mail con la proposta di collaborazione con Flos, un avvenimento che ha avuto su di me un effetto dirompente, amplificato proprio dal momento drammatico che tutti stavamo vivendo. Se lo ricordo, provo ancora un’emozione fortissima. L’approccio era comunque esplorativo, un pour parler che vagava nel territorio delle ipotesi e andava approfondito con incontri diretti. Io ho presentato liberamente alcune idee per lampade, non era stata richiesta una particolare tipologia, e quella che poi ha condotto a To-Tie è stata quella che da subito è sembrata più adatta a uno sviluppo di prodotto, operazione che comunque è durata un anno e mezzo lavorando a stretto contatto con l’azienda. Tutto ha preso il via da un prototipo che avevo realizzato in laboratorio, un’area del mio studio dove sperimento direttamente le forme e i dettagli dei miei progetti creando modelli già molto avanzati anche se gli elementi sono costruiti con tecniche piuttosto rudimentali.

Quindi in un mondo del design sempre più orientato alla progettazione digitale e alle ambientazioni virtuali del metaverso tu progetti attraverso lo studio dei modelli e scegli di rappresentare il tuo lavoro in modo fisicamente tangibile…

Non direi neanche che sia una scelta, ma un’esigenza: io non arrivo a concretizzare un’idea senza averla fatta con le mani. È il mio modo di lavorare, nel mio percorso non è mai capitato di arrivare a un progetto, inizialmente ispirato da un’intuizione poi nutrita da elementi più consci, senza passare attraverso un confronto diretto con i materiali, un processo che affronto entrando in laboratorio per dare forma concreta al pensiero guardando, riflettendo e analizzando la manifestazione tridimensionale che ne deriva. Molto spesso mi capita di essere sorpreso, in positivo, da quello che ottengo, quindi non è semplicemente una verifica ma un fondamentale momento di transito all’interno del mio iter creativo, un aspetto che trascende la razionalità del pensiero.

È quello che è successo con la lampada To-Tie?

Non esattamente. To-Tie lo definisco un progetto a lenta cottura, figlio di una ricerca sulla tensione strutturale, il tema della graduation di Eindhoven, che poi ho continuato in qualche modo a sviluppare. Quell’oggetto, un tavolo, era interessante per me perché si basava su un giunto strutturale che collegava gli elementi, e la sua resa estetica non era altro la conseguenza del suo procedimento costruttivo. Ritengo però che la lampada derivi da un ragionamento molto più maturo. Gli elementi sono solo tre: il cilindro di vetro, la barra su cui si avvolge il cavo e, appunto, il cavo che unisce il cilindro alla barra solo grazie al tensionamento, ma l’aver arricchito di funzioni i distinti componenti approfondisce il valore del progetto. Poi il risultato estetico, in realtà notevole, è per me solo un aspetto secondario. Alla prima percezione non è subito chiaro quale sia l’origine della luce, perché vediamo solo un cerchio luminoso intrappolato nel vetro. Il cavo in tensione, molto sottile, ha il compito di fornire alimentazione alla lampada, mentre la barra non solo blocca il cilindro di vetro grazie al cavo annodato ma incorpora le sorgenti LED e come una maniglia permette di spostare l’oggetto luminoso. Quindi un unico gesto strutturale prende la forma di un pezzo di design visivamente semplice in realtà molto complesso nei singoli dettagli progettuali, studiati con estrema cura: un aspetto che mi ha divertito molto seguire ed evolvere con il team di Ricerca e Sviluppo di Flos fino a ottenere il massimo della raffinatezza costruttiva possibile.

E credi che questo progetto così riuscito ti porterà nuovamente a progettare nel campo del lighting design?

Lavorare con la luce mi ha interessato e stimolato, appagandomi in molti aspetti. Credo possa essere l’inizio di una percorso nuovo per il mio lavoro di designer.